Trasferimento d’impresa e peggioramento retribuzione
La normativa dell’Unione europea impedisce che i lavoratori coinvolti in un trasferimento d’impresa subiscano un peggioramento retributivo sostanziale: ci si riferisce, in particolare, a quanto statuito dalla direttiva 77/187/Cee.
Ma quando può dirsi che la retribuzione subisca un peggioramento “sostanziale”? A rispondere è la Corte di cassazione, che si è occupata della questione in una recentissima pronuncia (sezione lavoro, 31 marzo 2021, n. 8968 ).
Per i giudici di legittimità, chi vuol validamente invocare la tutela eurounitaria deve aver subito una diminuzione “certa” del compenso che avrebbe percepito laddove avesse continuato a lavorare alle dipendenze del cedente alle medesime condizioni lavorative. A tal fine occorre valutare il trattamento retributivo nella sua globalità, senza però considerare gli importi che non costituivano il normale corrispettivo della prestazione, anche se sono stati versati occasionalmente prima del trasferimento dell’impresa. Del resto, tutti gli emolumenti che sono legati a delle variabili relative alle modalità qualitative e quantitative con cui è resa la prestazione lavorativa non possono dirsi appartenenti al patrimonio del lavoratore, considerato che quest’ultimo non avrebbe potuto comunque fare un sicuro affidamento su di essi, neanche se non si fosse realizzata la vicenda modificativa.
In sostanza, non è possibile imporre al datore di lavoro cessionario dei limiti ulteriori rispetto a quelli che gravavano sul datore di lavoro cedente prima della cessione e non è corretto invocare la direttiva 77n/187 per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di qualsiasi altra condizione lavorativa in occasione del trasferimento d’impresa.
Sulla base di queste premesse, la Corte di cassazione si è anche soffermata su quali elementi della retribuzione possono assumere rilevanza ai fini del cosiddetto “maturato economico”, escludendo, ad esempio, che sia possibile ricondurvi i premi e i compensi incentivanti previsti dal Ccnl 1° aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali.
Più in generale, per i giudici deve considerarsi che le disposizioni normative e contrattuali le quali garantiscono che, nell’ambito di un qualsivoglia trasferimento, il trattamento economico e normativo acquisito dal lavoratore resti immutato non possono comunque essere considerate come tali da imporre la totale parificazione del dipendente trasferito a quelli già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione. Infatti, se è vero che la prosecuzione giuridica del rapporto rende operante il divieto di reformatio in pejus, è anche vero che le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo restano comunque distinte e la loro diversità può essere valorizzata dal cessionario, pur con il limite di non mortificare un diritto già acquisito dal lavoratore.