Non si può pubblicizzare assistenza legale a zero spese di anticipo
Il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 65/2022, ha affermato, condannando un’avvocatessa alla sospensione dell’attività professionale, che l’avvocato non può pubblicizzare l’assistenza legale a “zero spese di anticipo” per attirare potenziali clienti. Ciò in quanto si tratta di una notizia che non si ispira assolutamente al rispetto dei doveri di dignità e decoro oltre ad essere contraria alle prescrizioni normative (articoli 17 e 35 cdf), anche in violazione del divieto di accaparramento di clientela (articolo 37 cdf).
La vicenda nasce da un esposto presentato dal sindacato dei camici bianchi al COA di Napoli che denunciava la presenza sul web di pubblicità lesiva dell’onore dei medici, pubblicità che riproduceva una persona in manette con indosso un camice e stetoscopio ed associata all’offerta di servizi professionali di uno studio legale. Oltretutto, all’esterno dell’ospedale di Napoli, era collocato un cartellone pubblicitario dello stesso studio legale, recante il seguente messaggio: “Se pensi di aver conseguito un grave danno derivante da casi di malasanità, contattaci subito per una valutazione del tuo caso – zero spese di anticipo pensiamo a tutto noi”, ed i contatti riconducibili all’avvocatessa ricorrente.
Conseguentemente, all’apertura del procedimento disciplinare, veniva irrogata dal CDD la sanzione della sospensione di 5 mesi dall’esercizio dell’attività professionale.
Con ricorso al CNF, la legale riteneva che le violazioni deontologiche non fossero sussistenti in quanto non si trattava di pubblicità ingannevole, autocelebrativa o comparativa lamentandosi del fatto che il CDD non avesse valutato il suo comportamento complessivo, che invece, denotava rispetto per le regole deontologiche, in quanto la stessa aveva anche rifiutato di farsi pubblicità su un grande quotidiano.
La donna lamentava, inoltre, l’eccessiva misura sanzionatoria e l’irrogazione della sanzione che non teneva conto dell’assenza di precedenti violazioni disciplinari da parte sua, né del comportamento successivo, sussistente nella rimozione del messaggio sia della pagina Facebook, sia dei cartelloni nel giro di pochi giorni, tale da escludere il rinnovamento di tale condotta.
Tuttavia per il Cnf, le condotte contestate alla professionista manifestano apertamente violazione deontologica per quanto riguarda l’offerta di “zero spese di anticipo”, per giunta l’uso dell’immagine del medico ammanettato trasmette un messaggio fortemente denigratorio nei confronti della classe degli operatori sanitari, poiché evoca una responsabilità criminale da parte del medico.
Il Consiglio afferma – “l’avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi in genere e verso la controparte, giacché il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività”.
Pertanto, il messaggio trasmesso tramite l’immagine in questione – “integra la violazione dei doveri generali di correttezza, probità, dignità, decoro che incombono sul professionista forense ex art. 9 c.d.f, nonchè la violazione del dovere di fornire un’informazione corretta, non denigratoria, né suggestiva (artt. 17 co 2 e 35 co 2 c.d.f.)”.
Per quanto riguarda l’offerta di assistenza legale a “zero spese di anticipo”, anch’essa per il consiglio “è contraddistinta da forti connotati suggestivi e comparativi poiché suggerisce al potenziale cliente l’opportunità di avvalersi del servizio legale offerto senza alcun esborso economico, fruendo quindi di una prestazione maggiormente conveniente rispetto a quella di altri professionisti”.
La pubblicità in questione, “è intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, e pertanto incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, con la tutela dell’affidamento della collettività”. Pertanto, la stessa, senza dubbio, “si concreta nella violazione dei precetti contenuti nell’art. 37 c.d.f. che appunto vietano qualsiasi forma di reclutamento di clientela non ispirata al rispetto dei doveri di dignità e decoro”.
Riguardo la sanzione, invece, è noto che la decisione della stessa, “non è frutto di un calcolo matematico bensì frutto di un bilanciamento, che può portare ad un inasprimento della pena nel caso di particolare gravità della condotta e di precedenti condanne disciplinari – ovvero – ad una sua eventuale mitigazione, in considerazione dell’ammissione delle proprie responsabilità e, più in generale, del comportamento processuale dell’incolpato”.
Concludendo, nonostante la gravità delle violazioni che conclamano la responsabilità disciplinare dell’incolpata e considerata l’incensuratezza della stessa, il Cnf delibera per la riduzione della sanzione a due mesi di sospensione anzichè 5.