Legittima eccezione d’inadempimento
La Cassazione a mezzo dell’ordinanza 770/2023, ha riformulato almeno in parte, i fondamenti inerenti il licenziamento disciplinare a seguito del mancato assolvimento del lavoratore di eseguire la propria prestazione, in caso di illegittimità dell’ordine datoriale. Nello specifico, la suprema Corte ha convenuto che, qualora il lavoratore non renda la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dalla conclamata illegittimità della richiesta datoriale, dando origine ad una legittima eccezione d’inadempimento. Dunque, il fatto contestato diviene insussistente, in quanto non vi è illiceità: ne consegue l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata (come da articolo dè Il Sole 24 Ore del 25 gennaio 2023).
I fatti si sono svolti nel seguente modo: La cassiera di un supermercato era stata licenziata per giusta causa per aver consentito a tre clienti di non pagare una parte della merce prelevata. La Corte d’appello aveva reintegrato la dipendente, avendo accertato l’atteggiamento minaccioso dei clienti verso la cassiera, la quale, oltretutto, oltre ad avere chiesto l’intervento della guardia giurata, non era stata tutelata e supportata dall’impresa.
In definitiva, la Corte imputava al datore di lavoro l’essere venuto meno all’obbligo di protezione della dipendente, in balia dei comportamenti minacciosi dei clienti, o, in ogni caso, così percepiti dalla cassiera secondo un atteggiamento di buona fede e come tali idonei a esporla a un pericolo per la propria incolumità. Motivo per cui la Cassazione, ha stabilito che l’inadempimento della dipendente come esecuzione della stessa in maniera non conforme alle modalità prescritte dalla società, dovesse giudicarsi legittimo e giustificato, secondo l’articolo 1460, comma 2, del Codice civile.
Tuttavia, l’inadempimento datoriale nei contratti a prestazioni corrispettive, non legittima prontamente il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, poiché in base al disposto dell’articolo 1460, comma 2, del Codice civile, la parte adempiente può rifiutarsi di assolvere la prestazione a proprio carico, solo nel caso in cui tale mancanza non risulti contraria alla buona fede (Cassazione 434/2019; 14138 e 11408 del 2018).
In altre occasioni, la Cassazione ha stabilito che, il lavoratore può chiedere mediante processo la valutazione della legittimità di un provvedimento datoriale, cionondimeno non lo autorizza a rifiutarsi a priori di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, senza un sostegno giudiziario che lo autorizzi, in quanto il lavoratore è tenuto a osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore in base all’articolo 1460 del Codice civile. Nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale, il rifiuto diverrebbe ammissibile (Cassazione, sentenza 9736 del 19 aprile 2018). La Corte ha stabilito ancora che in caso di trasferimento adottato in violazione dell’articolo 2103 Codice civile, l’inadempimento datoriale non legittima il rifiuto del lavoratore a eseguire la prestazione lavorativa.
Concludendo, da parte della Cassazione sussiste un orientamento non del tutto eterogeneo su questo specifico tema. Conseguentemente, è auspicabile che il lavoratore adotti un’attenta analisi del caso, prima di adottare provvedimenti che possano divenire di per sé espulsivi, tenendo conto sia di un eventuale inadempimento datoriale, sia del limite della buona fede nella sua condotta.
Pertanto, il principio generale resta quello in cui il dipendente è soggetto al potere gerarchico, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, salvo le eccezioni indicate; il lavoratore non può autonomamente stabilire quale ordine sia legittimo e quale no, in assenza di una adeguato avallo giudiziale.