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La pandemia rimodella il rapporto vita-lavoro.

MUNGIELLO AVVOCATI

La pandemia rimodella il rapporto vita-lavoro.

Da un’intervista su 20mila lavoratori in 10 paesi, tra cui l’Italia, la Francia, la Germania, la Cina e gli Stati Uniti, emerge che il 58% ritiene che la pandemia abbia generato una frattura che ha rimodellato fortemente l’equilibrio tra lavoro e vita personale; una realtà, questa, che spinge le aziende ad un’attenta analisi. Società del calibro di Bain & company,  Dynata, hanno realizzato una sondaggio dal titolo “The working future”, il quale mette in luce come le motivazioni a lavorare da parte delle persone stiano cambiando.

Cosa si intende per un “buon lavoro”? La risposta dei lavoratori a questa domanda, ha individuato sei modelli, ognuno con priorità diverse: i worker bees coloro che ottengono la realizzazione al di fuori del loro ambito lavorativo; i givers che giustificano la scelta di un lavoro con professioni al servizio della crescita e dello sviluppo, quali la medicina o l’insegnamento; gli artisans, coloro che amano ricevere il riconoscimento del proprio operato  sulla base delle proprie competenze; gli explorers che vivendo giorno per giorno sono alla ricerca di lavori dall’alto grado di varietà; gli strivers, che bramano il successo professionale ed il relativo status e retribuzione; infine i pioneers ovvero i pioneri del fenomeno workism, che mediante la loro professione sognano di rendere il mondo un posto migliore. Qual’è il modello italiano più diffuso? Ebbene, è quello dei worker bees, gli operativi, predominanti nella fascia 35-54 anni.

Altro importante fattore della ricerca è la produzione automatizzata che tende a sostituire l’uomo nelle attività di routine, insieme al cambiamento tecnologico. E’ evidente come lo smartworking e il gig economy hanno modificato in modo considerevole l’interazione dei  lavoratori con le aziende. Tali cambiamenti hanno sì ridotto i costi aziendali, tuttavia incidono negativamente sulla soddisfazione professionale dei lavoratori e di connessione tra colleghi. L’orientamento in Italia è il seguente: il 27% dei lavoratori preferirebbe non lavorare mai (o quasi) da remoto, il 17% lo farebbe per 5 giorni a settimana ».

Da ultimo, ma non meno importante, si assiste ad uno stress sempre più pressante che grava sulle nuove generazioni; fenomeno questo, che porta l’Italia sul podio, dopo Giappone e Brasile. Si stima che il 64% dei lavoratori sotto i 35 anni, si sente sotto stress. Conseguentemente solo il 60% dei lavoratori italiani intervistati è soddisfatto del proprio lavoro. A tal proposito Bain & Company ha identificato alcune aree su cui bisognerà investire. In primis la necessità non è andare a caccia di talenti, quanto piuttosto di  sviluppatori di talenti, investendo sulla formazione e sulla carriera.

Concludendo, è fondamentale  spingere i dipendenti a lavorare sulle capacità personali al fine di realizzare carriere che consentano loro di raggiungere i propri obiettivi ed i propri ideali, dopotutto “il successo è un viaggio, non una destinazione!”.

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